Costretta ad abortire in bagno senza assistenza. Questa la denuncia che Valentina Magnanti, una ventottenne romana, espone contro l’ospedale Sandro Pertini di Roma.
La donna, che aveva deciso di interrompere la gravidanza al quinto mese per una rarissima malattia genetica che non dava speranza di sopravvivenza, racconta di esser riuscita, dopo vari tentativi, ad ottenere il foglio di ricovero da una ginecologa dell’ospedale, “perché soltanto lei non era obiettore”.
Dopo aver dato inizio alla terapia, però, la donna sostiene di esser stata lasciata sola con il marito Fabrizio, l’unico ad averla aiutata a partorire nel bagno della sua stanza di degenza. “Nessuno ci ha assistito, nemmeno dopo aver chiesto aiuto più volte. Anzi a un certo punto sono entrati gli obiettori con il Vangelo in mano a dirci che commettevamo un crimine. Non li abbiamo denunciati soltanto perché eravamo sconvolti da quello che avevamo vissuto”.
Insofferenti ed imbarazzati, i medici dell’ospedale Pertini, che tentano di difendersi. Il direttore sanitario, Concetto Saffioti, precisa che la donna è stata in realtà assistita dai medici, in quanto obbligati dalla legge 194 a garantire il servizio di interruzione della gravidanza.
E il primario Massimo Giovannini, nella sua relazione, sottolinea che la paziente sia stata assistita da due ginecologhe, le uniche dei 19 medici a dare disponibilità per l’aborto terapeutico. Eppure non sembrano esserci dubbi sul fatto che l’espulsione del feto sia avvenuta in bagno.
Anche il Consiglio d’Europa ha recentemente posto all’attenzione il problema degli obiettori di coscienza, adottando una posizione di condanna nei confronti dell’Italia. Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni che ha assistito Valentina e il marito, imputa la responsabilità alle Regioni che, nonostante le ripetute sollecitazioni, non si sono ancora attivate per l’applicazione della legge 194.
Nel caso specifico di Valentina, sostiene Gallo, la terapia era stata iniziata effettivamente da un medico non obiettore, fino al cambio di turno, dove la donna era stata lasciata sola. «Ma la legge prevede», ha precisato, «che il medico possa rifiutarsi di iniziare la procedura, ma non di portarla a termine».
Dolore e frustrazione per Valentina che potrebbe, se non fosse per la legge 40 sulla fecondazione assistita, avere altri bambini. “Io sognavo un figlio, un bambino che avesse qualche possibilità di una vita normale. Invece mi sono ritrovata ad abortire al quinto mese sola come un cane”.